Prova del trasporto nelle cessioni UE: l’incerto rapporto con la buona fede del cedente

11 ottobre 2019

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Uno dei temi che sta concentrando maggiormente l’attenzione delle aziende a livello europeo risulta essere la prova di avvenuta consegna delle merci nelle operazioni intracomunitarie. Di recente lo stesso Consiglio dell’unione si è espresso sull’argomento con il Regolamento UE 1912/2018, in vigore dal 1° Gennaio 2020, definendo una serie di documenti attraverso cui si presume che i beni siano stati spediti o trasportati dal territorio di uno Stato membro a un altro Stato membro. La questione della prova delle cessioni intracomunitarie si pone in effetti come un punto focale per l’espansione delle imprese all’estero, in quanto le cessioni effettuate in base all’articolo 41 del decreto legge 331/93 – cessioni non imponibili – per poter essere effettivamente considerate tali e godere dell’esenzione d’imposta, necessitano della prova del trasporto della merce presso un altro Stato membro.

Riprendendo per l’appunto la normativa in questione, affinché possa ravvisarsi una “operazione di cessione intracomunitaria” per la quale trova applicazione l’esenzione IVA devono sussistere 3 condizioni (in tal senso la Sentenza di Cass. Civ. n. 26062 del 2015):

  1. Il passaggio di proprietà del bene oggetto della vendita dietro corrispettivo;
  2. La movimentazione di merce verso un altro Stato membro;
  3. La prova della spedizione o trasporto del bene in un altro Stato membro.

Qualora la spedizione o il trasporto sia curato dal cedente non si pongono particolari problematiche, essendo infatti quest’ultimo il soggetto che ha un controllo effettivo sul trasporto della merce non incontra particolari difficoltà nell’ottenimento dei documenti comprovanti l’avvenuta consegna delle merci; situazione tutt’altro che scontata invece nel caso in cui il pieno controllo della spedizione sia nelle mani del cessionario/acquirente come risulta in spedizioni disciplinate dal termine di resa EXW (franco fabbrica).

Nel caso in cui il CMR controfirmato non dovesse essere trasmesso al cedente/venditore, o altro documento attestante l’arrivo a destinazione della merce, la prova di consegna non è nei fatti fornita e l’Amministrazione Finanziaria non considererebbe l’operazione come non imponibile recuperando di conseguenza l’IVA dal venditore.

Conseguentemente la vendita “franco fabbrica” comporta la necessità di una maggiore attenzione e monitoraggio dell’operazione da parte dell’operatore cedente nazionale. Risulta necessario in altri termini che lo stesso abbia agito in buona fede, impiegando la massima diligenza di un imprenditore accorto, al fine di non essere coinvolto in un’operazione finalizzata all’evasione.

Sul punto si è di recente espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 4045 del 2019.

La Suprema Corte riconosce che la prova che il venditore può produrre alle autorità tributarie in caso di spedizioni curate dal cessionario dipende dagli elementi che egli riceve da quest’ultimo; laddove quindi l’obbligo contrattuale di spedire o trasportare il bene fuori dallo Stato membro di cessione non sia stato assolto dall’acquirente, è quest’ultimo che dovrebbe essere considerato debitore dell’IVA in tale Stato membro. Tuttavia immediatamente dopo viene posto in evidenza come il riconoscimento del diritto all’esenzione richiede, in ragione dell’interesse che presidia la lotta contro eventuali evasioni, elusioni e abusi, la dimostrazione del fatto che l’operatore abbia agito in buona fede; ciò nel senso dell’adozione da parte sua di tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria.

Come specificato in sentenza “ne consegue che, in caso di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente ha diritto all’esenzione IVA ove fornisca la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione o di “fatti secondari”, da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza, ovvero, se la documentazione sia in possesso di terzi non collaboranti e non sia acquisibile da altri soggetti, di aver espressamente concordato, nei contratti stipulati con vettore, spedizioniere e cessionario, l’obbligo di consegna del documento e, a fronte dell’altrui inadempimento, di aver esperito ogni utile iniziativa giudiziaria”.

Risulta ora interessante analizzare l’ultimo punto della sentenza ovverosia il caso in cui il cedente/venditore abbia concordato contrattualmente con vettore, spedizioniere e cessionario, l’obbligo di consegna dei documenti. Senza ombra di dubbio una valida soluzione per districarsi da situazioni complicate di mancanza di prova documentaria, c’è da tenere tuttavia in considerazione anche la condizione successiva, ovverosia l’esperimento dell’attività giudiziaria a fronte dell’inadempimento altrui: di per certo non una via economicamente friendly e che potrebbe comportare a sua volta ulteriori complicazioni.

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