Lavoro, disoccupazione, salario. Considerazioni del Presidente GIA Giuseppe Iotti.

24 luglio 2019

Episodi di vita vissuta da un imprenditore come voi.

Acquisito del nuovo lavoro, un po’ inaspettatamente, ci verrebbe utile un collaboratore operativo almeno per un periodo limitato. Poi si vedrà, speriamo che il lavoro continui, e di poter/dover così assumere una persona a tempo indeterminato. Aggiungiamo: se si mostrerà meritevole.

Non era facile, ma, grazie all’impegno di una società di lavoro interinale, troviamo una persona già qualificata: anni fa, come artigiano, ha fatto proprio il lavoro che ci serve. La collaborazione con la società interinale ci consentirà inoltre un periodo di prova sensato.

Studiamo il caso, in particolare quanto ci può costare l’operazione, per tre mesi che sperabilmente diventeranno sei, in base a quanto verrà pagato il collaboratore. La cifra viene elaborata partendo dai salari effettivi del nostro personale che fa lo stesso lavoro. Siamo sopra il minimo contrattuale, perché sappiamo che altrimenti difficilmente il candidato accetterà.

La persona accetta: iniziano le pratiche burocratiche, piuttosto onerose dal punto di vista di un progetto di formazione sulla sicurezza. Questa persona ultimamente faceva l’operaio in fabbrica, era solo in parte formato sui nostri rischi, dovremo integrare con dei corsi.

Nel posto di lavoro precedente, dopo alcuni rinnovi di contratti temporanei, non aveva potuto essere confermato perché, da una parte, la quantità di ordini era insufficiente a motivare il suo datore di lavoro ad assumerlo a tempo indeterminato, dall’altra, il cosiddetto decreto dignità aveva fatto sì che un ulteriore rinnovo non fosse possibile. Un governo che, sarà stata una battuta, aveva dichiarato di aver abolito la povertà forse crede di imporre le assunzioni altrettanto per decreto.

Arriva lunedì mattina, e le carte sono pronte.

Mi telefona la persona della società interinale: il candidato in mattinata si è recato “da un consulente” (un CAF? un sindacato? un conoscente?) che lo ha illuminato sul fatto che non valeva la pena accettare il compenso già pattuito, perché troppo di poco superiore all’indennità di disoccupazione che attualmente percepisce.

Chiamo il GIA per sentire se sia possibile che un’indennità sia così elevata da fare concorrenza al salario che offro, che è, come già scritto, piuttosto superiore al quello base contrattuale. Difficile rispondere, le indennità in Italia possono arrivare a 1.100 Euro mensili, perfino a oltre 1.200 Euro, sono meccanismi complicati, ma l’esito è che equivalgono ad un vero e proprio stipendio, per quanto di fascia bassa.

Altro quesito: può una persona in età attiva e in buona salute rifiutare un lavoro e continuare tuttavia a percepire l’indennità? Certo che può. tra l’altro, anche quando ci fossero regole in merito, come farebbe lo Stato a sapere che questo signore ha rifiutato un lavoro trovato tramite una società interinale?

Io trovo che questo sia inaccettabile, specie ma non solo per noi imprenditori: è una presa in giro per chi lavora davvero.

Nello specifico, di questa vicenda, una volta tanto, non ha colpa questo governo, se non che probabilmente ha fatto perdere il lavoro a questo signore col meccanismo del decreto cosiddetto dignità. Queste regole sulla disoccupazione c’erano già.

Ora però, oltre alla concorrenza dell’indennità di disoccupazione, dobbiamo combattere contro quella del reddito di cittadinanza, cioè un potenziale lavoratore di fatto prende uno stipendio per il solo fatto di essere un cittadino italiano. A noi pare che la Costituzione indichi il lavoro, quando c’è, un dovere, oltre che un diritto. Agli stranieri che da anni vivono in Italia, invece, se perdono il lavoro, niente reddito: loro non votano, poi magari invece di tornare al loro paese, dove morirebbero di fame, si mettono a rubare, ma questa è un’altra storia.

Poi si fa avanti la questione del salario minimo. Ci sarebbe molto da dire, ma mi limito a questo: negli anni ’70 si teorizzava il salario come una variabile indipendente, e la storia ha già dimostrato che erano solo farneticazioni ideologiche: il salario è una componente del costo di un prodotto o di un servizio che deve avere sul mercato un rapporto, riconosciuto valido dal consumatore, tra prezzo e valore. Il lavoratore non può sottrarsi alla responsabilità di essere parte di questo meccanismo che, peraltro, utilizza quando si mette il cappello di consumatore. Per fare un esempio, se deve volare, quando gli conviene sceglie, poniamo, Ryanair, e poco gliene importa se il dipendente Alitalia vuole conservare i “diritti” che ha in più rispetto al dipendente del vettore irlandese, e perciò anche per questo il biglietto Alitalia costa di più. Il fatto che il governo sostenga Alitalia in questo contesto è una distorsione del mercato che non ha futuro: non farà altro che perpetrare lo spreco di risorse pubbliche o private che si verifica da molti anni.

A noi sembra che il modo migliore per tutelare i lavoratori è intanto di motivarli a lavorare quando il lavoro c’è, non facendo il contrario, e aiutando le imprese a svilupparsi, consentendo loro di distribuire in modo equo una ricchezza che prima di tutto deve essere prodotta.

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