Aziende “dinosauro”? Riflessioni del Presidente Iotti sulla capacità reattiva delle Pmi

21 ottobre 2020

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Purtroppo la pandemia sembra in questi giorni tornare a creare problemi in Italia, che in ultima analisi potrebbero ricadere sulle nostre aziende in diversi modi.

Io però preferirei in questa mia comunicazione lasciare da parte per un momento queste preoccupazioni, temo che avremo modo di riparlarne, e sottoporre alla vostra lettura questo articolo del Sole 24 Ore che tratta di una tematica importante anche per le nostre piccolissime, piccole o medie aziende.

Anche una PMI può essere un “dinosauro”?

Sì, potrebbe. Anzi, se ripercorriamo le vicende di quei nostri colleghi che non hanno retto alla scorsa crisi, quella finanziaria, probabilmente troveremo in diversi casi che non c’è stata in loro quella capacità di reagire ai cambiamenti ambientali che ogni azienda, piccola o grande, deve avere per almeno sopravvivere, se non proprio crescere.

L’articolo sembra più incentrato sulle grandi realtà, facendo in qualche punto riferimento al conservatorismo del management. Noi spesso non abbiamo dei manager che non siano parte della famiglia o del gruppo dei proprietari, ma il rischio può esistere anche per noi.

Tuttavia, credo che la “lotta per la sopravvivenza” in un ambiente spesso ostile trovi la maggior parte degli imprenditori in prima persona pronti a reagire. Noi, non sempre, ma spesso, abbiamo una capacità innovativa, o se vogliamo creativa, notevole anche se non facilmente misurabile. L’innovazione, di processo o di prodotto che sia, è ciò che ci consente di andare avanti, con una reattività spesso superiore a quella delle grandi strutture, anche nei tempi. Del resto, la natura stessa ce lo ha insegnato, se i dinosauri sono scomparsi, ma le lucertole sono ancora qui… e qualcuna è cresciuta diventando un coccodrillo…

Aggiungo brevemente due considerazioni.

La prima riguarda l’”ambiente ostile”. Ecco, se la pubblica amministrazione, ed in ultima analisi la politica, ci aiutassero con la semplificazione delle procedure, sarebbe molto bene, perché basta già il mercato a renderci difficile la vita. Quest’ultimo è fisiologico, mentre patologico è l’eccesso di burocrazia, e la sfiducia che a priori lo Stato dimostra spesso nell’imprenditore.

La seconda riguarda le premesse di questa capacità innovativa nelle piccole aziende e cioè che, quasi sempre, si tratta di investire, poco o tanto. Orami sappiamo fare i miracoli, è vero, però, normalmente, sarebbe meglio avere alcune precondizioni. A questo punto, il discorso, di solito, cade sulle banche. E’ vero che in diversi casi c’è un problema. Ci sarebbe anche da aggiungere che si fanno faticosamente largo altri mezzi di finanziamento dedicati a noi, ma la strada è ancora lunga, anche un po’ per colpa nostra, in verità.

Ma sarebbe ancor meglio disporre di autofinanziamento. Quando un’azienda ha dei buoni margini, se li può consumare distribuendoli, è legittimo, ma spesso una PMI li capitalizza per poterli investire, appunto, per la innovazione che è in fondo un sinonimo di crescita, e viceversa. Purtroppo, per molti di noi, chi da dieci, chi da vent’anni, vede un’erosione continua dei margini.

Questa a mio avviso è una conseguenza di una struttura, una filiera di aziende che, invece di innovare, come suggerisce l’articolo, e credo sia la riflessione più importante, puntano tutto o quasi sulla riduzione dei costi. Riduce i costi il mio cliente, li riduco io vessando il mio fornitore più che posso, e magari pagandolo più tardi che posso (in modo tale che alla fine i soldi sono solo nelle banche, tra l’altro). Si pretende che la qualità resti la stessa, forse, ma non ci giurerei, di sicuro questo va a scapito dell’innovazione. Se non ho i soldi, non investo. Anche perché, se un’azienda riesce ad assicurarsi un buon margine solo risparmiando sui costi, chi glielo fa fare, nel breve periodo, di sforzarsi per cambiare? Se i dinosauri veri sono scomparsi a causa di un grosso meteorite, non è un meteorite la causa della crisi di tante aziende-dinosauro.

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